Riflessione per la 34ª domenica del Tempo Ordinario 2024
Sorelle e fratelli in Cristo,
È una delle grandi ironie della nostra fede che celebriamo il nostro Salvatore con il titolo di “re”, un ruolo che Dio aveva messo in guardia gli israeliti dall’adottare per sé ai tempi di Saul e Davide. Ma allora come oggi, troviamo difficile resistere alla via del mondo e alla percezione che le uniche forme efficaci di autorità siano quelle sostenute dal controllo unilaterale, dalla gerarchia, dalla forza militare, dalla ricchezza o dalla coercizione. La nostra Chiesa non è esente da queste tentazioni e, nonostante abbia vissuto per diversi secoli come una comunità latitante, per così dire “clandestina”, la collisione dell’Impero romano con le prime comunità cristiane ha fatto evolvere il ruolo dei discepoli-guida in forme imperiali complete di monarca, principi, burocrazia feudale, una classe sociale clericale d’élite e, per secoli, un esercito permanente. Cosa direbbe Gesù di tutto questo, ci si potrebbe chiedere?
Naturalmente, questo sviluppo ebbe implicazioni reali per la vita della Chiesa, alcune delle quali vantaggiose per la crescita del cristianesimo, ma non sempre così positive per la genuinità della fede ispirata da Gesù, che era povero e umile e metteva in guardia dalla violenza di qualsiasi tipo. In realtà, Gesù si sottrasse a questo modo di fare del mondo e introdusse un’evoluzione nella nostra comprensione di come dovrebbe essere esercitata la vera autorità.
Quando Gesù entrò a Gerusalemme per l’ultima volta, cavalcò un asino anziché un cavallo per distinguere la sua regalità da quella dell’imperatore. Non era contrario a esercitare il potere sui demoni che possedevano le persone e non esitò a porre dei limiti a coloro che agivano contro la volontà del Padre. Ma il suo stile di autorità, che scaturiva dall’esperienza autentica dell’amore del Padre e dalla sua fedeltà libera e disponibile, non si esprimeva mai attraverso il potere sulle persone. I re feudali assumevano il loro potere in un modo che quasi per definizione riduceva le persone alla servitù. Sebbene forse questo modello di governo in termini di dominio fosse una funzione delle convenzioni sociali del tempo, esso è completamente contrario all’esempio di Gesù. Piuttosto, Gesù ha esercitato il potere con e per gli altri come un servizio liberatorio e dignitoso, che ha modellato in modo drammatico attraverso la lavanda dei piedi dei suoi discepoli e poi sulla croce.
Il buon pastore (III sec. d.C.) – Catacombe di Priscilla – Roma
La festa di Cristo Re ci mette di fronte a questa ironia e ci invita a discernere il modo in cui il Vangelo afferma e sfida i modi in cui percepiamo l’autorità e il potere nella Chiesa di oggi. Quando vediamo persone investite di ruoli di autorità formale che agiscono con un orientamento umile e generoso di servizio verso gli altri, specialmente verso coloro che sono esclusi dal potere e dalle risorse, riconosciamo lo stile di Gesù all’opera. Quando percepiamo che le persone che ricoprono tali ruoli attribuiscono alla loro autorità un’importanza personale, un privilegio elitario o un senso di eccezione rispetto agli standard che impongono agli altri, è chiaro che questo non è coerente con lo stile di Gesù e rappresenta una potenziale minaccia per la testimonianza evangelica della Chiesa.
Poiché oggi ci troviamo in una Chiesa chiamata alla conversione, una Chiesa invitata dallo Spirito Santo verso uno stile sempre più sinodale, un’espressione di questa conversione è il capovolgimento della “piramide del potere”, in modo tale che invece di vedere i laici alla base e il Papa in cima, immaginiamo il contrario. Papa Francesco ha suggerito che lo scopo e la funzione dell’intera gerarchia della Chiesa, e di coloro che fanno parte delle congregazioni religiose, è il servizio e la responsabilizzazione dei laici affinché assumano i loro ruoli e le loro missioni nel mondo in modo “corresponsabile”.
Per approfondire le implicazioni di questo stile sinodale per il corretto esercizio dell’autorità nella Chiesa, si veda più avanti.
Al centro della sinodalità c’è il riconoscimento che, in virtù del battesimo, ogni cristiano è unto “sacerdote, profeta e re”, cioè per esercitare l’autorità nello stile di Gesù per il bene del Regno. La chiamata alla sinodalità sottolinea l’invito di Cristo a riflettere sullo stile e sul modo in cui ciascuno di noi esercita l’autorità e per quale scopo. Dove sono chiamato ad avvicinarmi alla sua via, alla sua dolcezza, alla sua umiltà?
Con voi in questo viaggio con affetto fraterno,
David e il gruppo di Discerning Leadership
(Il documento finale del Sinodo delinea il ruolo e la funzione appropriati delle autorità all’interno della gerarchia della Chiesa, sottolineando un approccio sinodale al governo. Ecco i punti chiave:
1. Natura dell’autorità: L’autorità dei vescovi, del Collegio episcopale e del Vescovo di Roma è radicata nella struttura gerarchica stabilita da Cristo, che serve sia l’unità che la legittima diversità nella Chiesa (9,2).
2. Consultazione e deliberazione: Le autorità sono tenute a considerare i risultati dei processi consultivi. Quando prendono decisioni, devono tenere conto del discernimento fornito dagli organi di partecipazione, riflettendo uno spirito collaborativo piuttosto che imponendo semplicemente la volontà.
3. Responsabilità collettiva: Il documento auspica una distribuzione dei compiti e delle responsabilità tra vescovi, sacerdoti, diaconi e laici, promuovendo la corresponsabilità e la collaborazione nel ministero. Questa distribuzione più ampia è considerata essenziale per un esercizio dinamico e spiritualmente sano del ministero (9,8).
4. Strutture partecipative: Sottolinea l’importanza delle strutture istituzionali per la partecipazione all’interno della Chiesa, sostenendo l’inclusione di voci diverse nei processi decisionali, compresi i laici, le donne e i gruppi emarginati (9:8).
5. Chiarezza nel processo decisionale: Procedure chiare per il processo decisionale, che definiscano ruoli e responsabilità, sono necessarie per garantire una governance efficace e la responsabilità.
In sintesi, il documento sostiene un approccio collaborativo e consultivo nell’esercizio dell’autorità all’interno della Chiesa, con l’obiettivo di migliorare l’unità e l’efficacia del servizio nel rispetto della diversità tra i suoi membri).