Ammettiamolo, chi non sarebbe un po’ eccitato all’idea di avere nuovi «poteri» e capacità miracolose? Se fossimo dotati del potere di guarire i malati, di essere immuni ai serpenti velenosi (e alle zanzare!?), e potessimo scacciare gli spiriti demoniaci, potremmo montarci la testa, sentirci un po’ più speciali degli altri, gonfiando la nostra autostima, giusto?

In realtà, anche quando non si tratta di poteri miracolosi, non sorprende che, come dice il proverbio, la conoscenza sia una forma di potere e che l’apprendimento di nuove abilità non solo possa darci un senso di autonomia e di realizzazione, ma anche infonderci un senso di orgoglio. Tuttavia, nel Vangelo di Luca 10, 1-12, 17-20, Gesù sembra distogliere l’attenzione dei 72 che ha mandato avanti a lui a coppie per preparargli la strada da queste potenziali fonti di orgoglio, per non parlare di qualsiasi altro attaccamento.
Innanzitutto, Gesù li istruisce ad andare per la loro strada, non come lupi potenti e pericolosi, ma piuttosto come agnelli mansuenti in mezzo ai lupi. Cosa significa questo? Invece di usare la conoscenza come potere, o di permettere alle loro nuove capacità miracolose di dare loro un vantaggio o una superiorità sugli altri, sono invitati ad accettare semplicemente se stessi, cioè a non presentarsi come qualcosa di diverso da ciò che sono: discepoli e destinatari della bontà e della grazia di Dio. Sono invitati ad accettare una certa dose di debolezza e vulnerabilità e, in questo, a trovare il modo di entrare in contatto con gli altri nella loro debolezza e vulnerabilità.
Senza provviste e rifornimenti extra (questo è difficile per un ex boy scout come me), viene loro detto di viaggiare leggeri, di permettersi di dipendere dagli altri. Non devono fare nulla per “migliorare” il loro livello di comfort, sicurezza o prestigio quando sono in viaggio. Al contrario, devono portare la pace che hanno ricevuto da Lui e offrirla agli altri. Se viene rifiutata, così sia: riprendono la loro pace e vanno avanti (anziché invocare il fuoco su coloro che resistono).
Quando ricevono ospitalità, non importa se modesta o sontuosa, non devono cercare circostanze migliori, né dare per scontata l’ospitalità, ma piuttosto “lavorare per il loro salario”. E in tutti i casi, quando sono stati usati da Dio come strumenti di guarigioni miracolose, devono evitare di attribuirsi il merito, ma piuttosto rendere grazie a Dio e indicare il modo in cui il Regno di Dio si sta manifestando in quel momento, in mezzo a loro. Anche se hanno il potere di scacciare le forze demoniache, devono ricordare che questo potere non è loro, ma di Dio.
Cosa dobbiamo pensare di questo? Come leader dotati di libero arbitrio, abilità, capacità e risultati, non c’è dubbio che il nostro lavoro ci dia gioia e soddisfazione (almeno in alcuni giorni). Gesù sta forse dicendo che la gioia e la soddisfazione sono proibite? Questo renderebbe il nostro lavoro pesante e senza vita, un dovere cupo, no? Come potrebbe suggerirlo e allo stesso tempo insegnarci ad assumerci i nostri fardelli come fa lui, con leggerezza, magnanimità e libertà?
In realtà, Gesù ci sta mostrando come sperimentare quella libertà, quella soddisfazione e quella generosità nel nostro lavoro e nei nostri successi, rendendo allo stesso tempo gloria a Dio. Questa attenzione a ciò che Dio sta facendo con noi e attraverso di noi, piuttosto che concentrarci su noi stessi, ci libera dall’autostima condizionata che oscilla a seconda dei nostri “giorni buoni” e dei nostri “giorni cattivi”, a seconda di ciò che realizziamo o otteniamo, per non parlare delle conoscenze o delle abilità che potremmo possedere.
C’è un tipo molto particolare di gioia e soddisfazione che deriva dal sapere che siamo usati da Dio, per quanto umilmente, al servizio del suo Regno che si sta realizzando. Può essere in una semplice e breve conversazione, quando abbiamo rallentato abbastanza i nostri impegni per ascoltare veramente un’altra persona che in quel momento aveva bisogno di qualcuno che la ascoltasse con empatia. Potrebbe essere stato in un momento di coraggio e di rischio, quando ci siamo esposti e abbiamo preso la parola a favore di persone emarginate o in pericolo. Potrebbe essere successo in un momento in cui abbiamo fatto spazio agli altri affinché potessero manifestarsi e dare il loro contributo, quando avremmo potuto scegliere di farlo noi stessi.
Crediamo che i nostri nomi siano scritti in cielo e che Dio ci scelga ogni giorno per essere suoi agenti e strumenti? Quando facciamo il bilancio delle esperienze in cui siamo stati usati per i suoi scopi, come si confronta questa soddisfazione con i risultati che attribuiamo alla nostra volontà? Gesù manda i 72 a coppie per collaborare insieme all’estensione della sua missione, perché anche per lui era impossibile farlo da solo. Siamo disposti a condividere la gioia e la soddisfazione di lavorare e amare insieme per i suoi scopi più grandi? «Rallegratevi», ci dice, perché i nostri nomi sono veramente «scritti in cielo» e Dio conosce il bene che sta facendo attraverso di noi, suoi strumenti perfettamente imperfetti.
Con voi in questo viaggio,