Se ti fosse affidata la missione di creare una società caratterizzata innanzitutto dall’amore, da dove inizieresti? Inizieresti cercando di lavorare con le persone una per una o con gruppi? Inizieresti considerando e modificando le leggi e le strutture sociali della società? Come faresti il primo passo in un progetto così grande?

E col passare del tempo, come sapresti che la tua missione sta avendo successo? Probabilmente misureresti il successo in termini di comportamenti delle persone, dei loro atti di gentilezza, compassione e servizio reciproco. Potresti cercare di valutare la qualità dell’intimità, della fiducia e dell’amicizia tra le persone. Potresti persino valutare una società in base alla misura in cui le persone di quella società sono aperte agli stranieri, quanto sono ospitali e inclusive nei confronti di chi è straniero o diverso.
Sembra una missione folle? Un compito impossibile? Eppure non siamo chiamati proprio a questo, a fare la nostra piccola parte nella costruzione di una civiltà dell’amore? «Vi ho dato un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli» (Gv 13,34-35).
Innanzitutto, potremmo renderci conto che questo compito riguarda le relazioni. È chiaro che Gesù ha intrapreso questo compito iniziando dalla sua «giusta relazione» con il Padre, tale che lui e il Padre erano così vicini nella loro volontà che Gesù poteva dire senza esitazione: «Io e il Padre siamo una cosa sola». Gesù ha sperimentato l’amore incondizionato e l’accettazione totale del Padre, e così ha potuto trasmettere a tutti gli altri lo stesso amore e la stessa accettazione che guariscono e riconciliamo. Ha ricevuto la sua missione dal Padre con totale fedeltà, anche se alla fine avrebbe significato solitudine e terribile sacrificio. Perché, prima di tutto, questa missione non riguardava solo lui, ma piuttosto lui con e per gli altri.
Con questo rapporto amorevole e fedele con il Padre come fondamento e base, l’altro punto di partenza per Gesù nella sua missione di proclamare e manifestare questa civiltà dell’amore era il modo in cui si comportava, senza mai chiedere agli altri ciò che non avrebbe chiesto prima a se stesso: esercitare misericordia e perdono, per esempio, invece di restituire il male con il male; accogliere gli stranieri; non giudicare o condannare gli altri, ma dare loro la possibilità di cambiare e amarli comunque. Egli incarnò e modellò il suo messaggio con totale integrità.
Gesù portò a termine la sua missione riunendo deliberatamente amici provenienti da contesti molto diversi, alcuni dei quali addirittura ostili tra loro, se non addirittura nemici. La loro esperienza di costruzione della fiducia e di un senso di fratellanza al di là delle differenze fu una sorta di testimonianza del potere dell’amore. Vedendoli insieme, la gente non poteva fare a meno di chiedersi cosa fosse successo loro, perché si prendessero cura gli uni degli altri in quel modo: pescatori, un esattore delle tasse, un zelota, donne non sposate, ricchi farisei e poveri mendicanti, persino persone considerate “emarginate” come i samaritani e la donna siro-fenicia, il centurione romano, ecc. Tutti si consideravano parte del gregge di Gesù. Egli formò un nuovo tipo di comunità che non era basata sui legami di sangue, sulle affiliazioni tribali o sullo status sociale.
In ogni incontro, in ogni interazione, Gesù era attivamente orientato verso le persone che incontrava, verso il loro benessere e il loro beneficio, i loro bisogni fondamentali e spirituali. Sosteneva la loro libertà interiore dall’egoismo e dal peccato e promuoveva lo sviluppo dei loro doni. Mentre alcune persone non riuscivano a conciliare l’esperienza dell’amore di Gesù per loro con le proprie aspettative sul Messia o con la paura del cambiamento, la maggior parte delle persone sperimentava nella presenza di Gesù un senso più profondo della vita. Percepivano una qualità totalmente diversa di pace interiore, gioia e scopo dentro di sé, mentre sentivano la loro mente, il loro cuore e la loro volontà risuonare con il suo insegnamento. Percepivano in lui qualcosa di cui non sapevano nemmeno di aver bisogno, la completezza, il senso di appartenenza e uno scopo per la loro vita. Lo trovavano nello spazio che Gesù creava per loro, nella qualità della sua presenza e della sua attenzione verso di loro, nella sua disponibilità ad essere per loro.
E quando prestavano attenzione a ciò che sperimentavano in sua presenza, non provavano solo gratitudine. Le persone che ascoltavano le sue parole e sperimentavano la sua presenza che le guariva, le riempiva di speranza, le liberava dalla loro sofferenza… volevano condividere questa Buona Novella, celebrare questa nuova qualità di vita e trasmetterla agli altri. Tenere tutto questo per sé sembrava innaturale, strano come accendere una lampada e metterla sotto un moggio, o cercare di nascondere una città costruita su una collina. Sono diventati discepoli missionari che a loro volta hanno portato altri ad assaporare e vedere con i propri occhi questa vita più abbondante, questo senso di un modo nuovo di essere, di conoscere, di agire e di relazionarsi. Perché in realtà, questo amore che hanno sperimentato con e da Gesù ha cambiato tutto per loro. Egli era per loro «un cielo nuovo e una terra nuova», e quindi nulla poteva essere più come prima.
Più condividevano questo messaggio, più mettevano in pratica l’amore che provavano con gesti concreti di compassione e servizio, più crescevano nella libertà interiore e nella convinzione che era meglio dare che ricevere. Infatti, svilupparono una capacità di trascendenza gioiosa e appagante.
È difficile non vedere oggi quanto possano fare la differenza nella qualità della vita delle persone semplici gesti di gentilezza, generosità e amore. Se questo è sempre vero, c’è qualcosa nella nostra epoca che rende tali gesti d’amore più urgenti. La civiltà dell’amore, il Regno di Dio, è presente e lontana come lo è sempre stata. Purtroppo, ciò che sembra molto presente in questo momento è un mondo di fredda indifferenza, iperindividualismo e superficialità. Eppure, ogni volta che scegliamo l’amore, “rappresentiamo” Gesù e il suo dono di una vita più abbondante. Partecipiamo al “fare qualcosa di nuovo” in un mondo bloccato nei vecchi schemi.
Come leader, vale la pena considerare se abbiamo sperimentato l’amore del Padre in termini così totali e incondizionati, o se forse si tratta di una relazione che richiede attenzione, coltivazione e maturità. Consideriamo le relazioni con la stessa attenzione e intenzionalità con cui consideriamo i compiti e gli obiettivi che cerchiamo di realizzare? Infatti, per quelli di noi che lavorano nel contesto della Chiesa, in che modo la qualità delle nostre relazioni potrebbe essere la missione stessa che siamo chiamati a realizzare? Se prestiamo attenzione alle nostre relazioni come una priorità, all’amarsi gli uni gli altri come Gesù ha amato i suoi discepoli, possiamo immaginare la fecondità per la Chiesa e per il mondo?
Seguiamo Gesù nel fare qualcosa di nuovo nell’amore, e così diamo gloria a Dio!
In cammino insieme,